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Le cariche sacerdotali

Si ricorreva per le questioni religiose ai Sacerdotes, cittadini romani con carica di ufficiali dello stato. Le cariche religiose erano importanti come quelle politiche, infatti la carica di pontifex maximus era comparabile a quella di edile o di console; Marco Aurelio Cotta era pontifex maximus, ma al contempo scettico verso tutte le religioni, insomma egli faceva rispettare i precetti religiosi, pur non essendo credente.

In precedenza solo i patrizi potevano diventare sacerdoti, questi non dovevano presentare difetti fisici, non pagavano i tributi, avevano un posto privilegiato a teatro, non dovevano prestare servizio militare e indossavano abiti che li rendevano riconoscibili a tutti. Le vestali e i flamini presiedevano alle funzioni religiose di un preciso tempio, tutti gli altri sacerdoti, invece, svolgevano solo alcuni riti sacrificali in determinati templi e giorni stabiliti. Vi erano alcune persone libere che aiutavano i sacerdoti nel compiere i sacrifici o nel farli passare tra la folla.

Collegium pontificum: Il più antico sacerdozio romano è quello dei Pontifices, del quale non si conoscono né le origini, né il significato del nome. Inizialmente eletti dal re, poi cooptati e per ultimo eletti dalla minor pars populi, i Pontifices nel 300 erano cinque, poi si passò a nove ed infine con Silla a quindici. Il Collegium Pontificum era presieduto inizialmente dal re, poi dal pontifex maximus, il primo plebeo ottenne tale carica nel 253 a.C.

Prima di dedicarsi alla creazione dei sacerdoti, Numa divise il calendario in dodici mesi e determinò i giorni fasti, in cui si poteva amministrare la giustizia, e nefasti, in cui non ci si poteva occupare di azioni giudiziarie civili. Durante i dies intercisi, invece, si amministrava la giustizia negli intervalli tra le cerimonie religiose, mentre le feriae publicae vietavano qualsiasi azione giuridica. Inizialmente, invece, vi erano dieci mesi con settimane da otto giorni, ripartizioni riguardanti la vita privata, altre la vita sociale. C' erano i dies puri e quelli religiosi, in cui era invece sconsigliato svolgere azioni pubbliche o private.

Il primo pontefice massimo fu Numa Marco, al quale il re conferì molte cariche, tra cui quelle di dettare le norme per le cerimonie pubbliche e private ed essere il garante del giudizio divino. I Pontifices supplicavano gli dei da parte del popolo bisognoso di aiuto, seppellivano la folgore di Giove, consacravano gli imperatori dopo la morte, attraverso loro Dio puniva i colpevoli, curavano il calendario, le magistrature, gli avvenimenti dell' anno e gli archivi sacri e giuridici.

La carica di pontifex rimase in vigore fino a prima delle guerre puniche, poi decadde per la presenza di numerose regole da rispettare, quali non uscire da quella che era considerata un tempo l' Italia o toccare cadaveri. Ritornò in uso solo con Augusto, quando gli imperatori iniziarono a rivestire la carica di pontifex maximus.

Rex sacrificulus: La carica di rex sacrificulus o rex sacrorum fu introdotta per svolgere alcuni compiti affidati ai re, prima che fossero cacciati: nonostante il rex fosse considerato sacro, egli non poteva occuparsi di pubblici uffici e quindi la carica non era molto ambita. Celebrava sacrifici legati alle calende e alle none e presiedeva alcune cerimonie.

Flamines: I flamines, ossia "coloro che accendono il fuoco", erano individualmente votati ad una singola divinità. Numa istituì una nuova carica, quella di Iovi adsiduum, al quale il re assegnò veste particolare e sedia curale regia, perchè pensava che i re, curandosi delle guerre, non avrebbero prestato attenzione alle cerimonie : quindi affiancò al flàmine di Giove quelli di Marte e Quirino. Il Flamen Dialis votava la propria casa al culto di Giove, doveva rispettare numerosissimi tabù, come ad esempio indossare sempre le vesti rituali, non uscire dall' Italia, non dormire fuori casa più di due notti e non rivestire altre cariche. Sua moglie diventava flaminica della dea Giunone, i figli Camilli. Anche Cesare, nell' 86 o nell' 84 a.C., ricevette il flamonio di Giove, come anche Scipione l' Africano, il quale, nonostante ciò, combattè contro Annibale anche fuori dall' Italia. Anche i flamines di Marte e Quirino erano legati a dei tabù, pur se meno severi, e tutti e tre svolgevano durante l' anno dei sacrifici e delle cerimonie anche con altri sacerdoti.

Virgines vestales: Il culto di Vesta e del fuoco sacro ebbe fin dall' inizio quattro sacerdotesse, le quali diventarono sei e poi sette. Queste venivano scelte dai pontifices maximi quando erano ancora bambine, dovevano essere libere e figlie di genitori viventi e non contaminati da lavori ignobili. Le ragazze venivano consacrate alla dea Vesta e da quel momento vivevano per trent' anni nel tempio, dovevano rimanere vergini, chi di queste avesse trasgredito alla regola veniva prima flagellata dal pontefice e poi seppellita viva; gli storici testimoniano che ciò accadde veramente.

Vestite di bianco, le vestali godevano di una posizione importante e di numerosi privilegi, avevano persino la precedenza sui consoli. Se un condannato a morte le incontrava, gli veniva scontata la pena, mentre, al contrario, se qualcuno le avesse offese, sarebbe stato condannato a morte. Esse dovevano curare il più importante palladio di Roma e avevano il compito di mantenere acceso il fuoco, colei che lo faceva spegnere veniva severamente punita. Le vestali avevano anche altri compiti, come la purificazione del tempio, la custodia dei testamenti, la partecipazione a processioni e riti, la preparazione di una sostanza con cui cospargere la vittima prima del sacrificio. Erano dedite al culto della Bona Dea, le cui ricorrenze principali erano il primo maggio e a dicembre, ma la festa più importante per le vestali era quella della Dea Vesta, il 9 giugno.

Quindecemviri sacris faciundis: Inizialmente erano due, poi divennero dieci ed infine quindici con Silla, il quale accostò ai sacerdoti cinque Magistri, che in età imperiale si identificarono con l' imperatore. Il loro compito era quello di esaminare ed interpretare i responsi oracolari, tra i quali i "Libri Sibyllini", di cui rimaneva segreto il contenuto, ma resa pubblica l' interpretazione dei quindecemviri. Una leggenda narra che una donna si presentò a Tarquinio il Superbo offrendogli nove libri, ma che il re si lamentò per il prezzo troppo alto, la donna strappò tre libri, glieli offrì di nuovo allo stesso prezzo, il re si lamentò per una seconda volta, finchè la donna non ne strappò altri tre; a quel punto Tarquinio accettò gli ultimi tre libri sempre al prezzo iniziale. Ciò che è certo e non leggenda è che Roma consultava sempre quei libri per chiedere un responso agli dei, furono molti i culti stranieri accolti grazie a questi oracoli.

Septemviri epulones: Nel 198 a.C., quando vennero istituiti, erano tre, ma sotto Cesare divennero sette e talvolta dieci. Il loro principale compito era quello di organizzare il banchetto pubblico che si svolgeva al termine dei ludi plebeii il 13 novembre; in età imperiale il banchetto veniva preparato anche al termine dei ludi Romani. Successivamente, a questo compito si aggiunse quello di organizzare i banchetti durante tutti gli altri giochi pubblici.

Fetiales: Il collegio era composto da venti membri, tutti patrizi ed eletti a vita, essi esercitavano lo ius fetiale e potevano essere rappresentati dal pater patratus, l' oratore inviato ai popoli nemici. Veniva chiesto il loro parere per formulare o sciogliere un patto, venivano mandati in terra nemica per chiedere o dare soddisfazione prima di una guerra. Se i nemici rimanevano convinti della loro posizione, i fetiales ritornavano dopo trentatrè giorni per dire che il popolo romano sarebbe riuscito a farsi giustizia da solo e dopo che il senato aveva deliberato la guerra, questi ritornavano in terra nemica un' ultima volta per dichiarare guerra, recitando la dichiarazione e scagliando una lancia a terra. Quando i confini i Roma si espansero e divenne difficile per i feziali raggiungere il luogo su cui dichiarare guerra, essi iniziarono a scagliare la lancia per dichiarare guerra su un tratto del Campo Marzio, definito ager hostilis, e a dichiarare guerra al più vicino dei comandanti militari. Si può notare che i romani fondavano i diritti di guerra su rituali religiosi e che il potere di decidere la tregua era del senato e non del comandante militare. Con il passare del tempo, l' importanza dei feziali decadde, a causa dell' espansione dei confini dell' Impero.

Salii: Come narra Livio, Numa istituì dodici sacerdoti chiamati salii, i quali si occupavano del culto di Marte Gradivo; indossavano una tunica ricamata, una corazza bronzea e possedevano scudi chiamati "I sacri ancili". Una leggenda narra che durante il regno di Numa ci sia stata un' epidemia, allora Giove tuonò tre volte e dal cielo caddè uno scudo di bronzo nelle mani del re. La sua forma era inusuale e grazie ad esso cessò l' epidemia. Per far sì che lo scudo non venisse perso, Numa ne fece fabbricare altri undici uguali dal fabbro Mamurio Veturio, che poi assegnò a undici salii. Gli scudi erano ovali, avevano urne e gemme intagliate e a lato due profonde incavature. Scudi simili, ma di dimensioni minori, sono stati ritrovati anche nelle zone di Bolsena, di Piceno e nell' agro campano.

Potevano diventare salii solo i patrizi, la carica durava a vita; questo tipo di sacerdozio non si diffuse solo a Roma, ma anche in altre città italiche. I salii, a marzo, durante l' apertura delle guerre, svolgevano una cerimonia molto importante, inaugurata con un banchetto il primo dello stesso mese. Vestiti con la tunica colorata, la corazza bronzea, il pileo sul capo, armati con lancia, spada, ancile e verga e guidati da un magister, da un cantore e da un ballerino, i salii compivano un preciso percorso per la città, passando attraverso il Foro, il Comizio, il Campidoglio e il ponte Sublicio. La danza era lunga e pesante, mentre i canti erano scritti in un latino difficile da comprendere persino ai sacerdoti, venivano invocati Giove, Giunone, Giano, Marte, Quirino e il fabbro Mamurio Veturio. A metà del mese, vi erano gare equestri, il 16 si celebravano le Mamuralia in favore di Mamurio, i sacri ancili venivano messi nel sacrario solo dopo il 23 marzo con la terminazione dei cinque giorni dedicati a Minerva. Il periodo dal primo al 23 marzo era considerato religiosus e quindi non adatto per compiere affari privati o imprese pubbliche, come ad esempio una guerra.

Luperci: Livio narra che fin dal tempo di Romolo e Remo si celebrasse sul colle Palatino la festa dei Lupercali, introdotta da Evandro che, prima di lasciare l' Arcadia, aveva ospitato Priamo ed Anchise, raggiungendo poi il Lazio, collegandosi quindi al mito di Troia. Altri storici, invece, sostengono che la festa fu introdotta da Romolo per celebrare la lupa che lo aveva allattato. Non essendo molto chiare le origini della festa, non lo è nemmeno il significato, legato probabilmente alla terra e forse ai morti. Certo è che vi furono due collegi di Luperci, che la festa veniva celebrata ogni 15 febbraio e che fu una delle manifestazioni che durò più a lungo, perchè celebrata fin dopo il 493 d.C.

Fratres Arvales: La tradizione dice che i dodici fratelli Arvali erano figli di Acca, madre adottiva di Romolo. Questo collegio sacerdotale fu rinnovato da Augusto e durò fino al IV secolo d.C., i membri erano patrizi e la maggior parte delle volte fra questi vi era anche l' imperatore. La loro festa era detta degli Ambarvalia.

Augures: Noto è l'episodio di Romolo e Remo, che scrutano il cielo in attesa di un segno dato dal volo degli uccelli, il che spiega perchè si attribuisca a Romolo, colui che fondò Roma grazie agli auspici, l' introduzione del sacerdozio degli Augures, anche se la capacità di interpretare i segni dati dal cielo e dagli animali era già presente nei Greci e negli Etruschi. Ognuno può compiere un auspicium privato, un magistrato ne può fare uno ufficiale, ma solo un àugure può dare una giusta interpretazione. In origine furono due, poi quattro, successivamente nove, sotto Silla quindici ed infine sotto Cesare sedici; erano privati cittadini che venivano eletti a vita e potevano compiere una attiva vita sociale. Il loro potere era talmente importante che ogni assemblea, comizio, affare pubblico veniva interrotto, se l' auspicio non era favorevole. Il dittatore romano Mamerco Emilio, nella guerra contro Veienti e Fidenati, guardava in alto verso la rocca dove erano gli àuguri, aspettando il risultato positivo degli auspici per dichiarare battaglia. Quinto Fabio Massimo, soprannominato il Temporeggiatore, fu ininterrottamente àugure per sessantadue anni.

Consoli, pretori e censori avevano il compito di richiedere gli auspici maxima, mentre gli edili e i questori quelli minima. Gli auspici potevano essere casuali oppure invocati, come ad esempio il volo e il canto degli uccelli o il muoversi di cani, lupi, volpi e serpenti sul terreno. Casuali erano invece i segni provenienti dal cielo, come tuoni o eccezionali nevicate, che venivano soventemente attribuiti a Giove e considerati negativi. L' àugure, rivolto verso sud, delimitava una parte di cielo, i segni che provenivano da oriente e che si trovavano sulla sua sinistra erano quelli fausti, quelli infausti provenivano invece da occidente ed erano sulla sua destra. In età imperiale, l' àugure si volgeva verso nord e non più verso sud, quindi i risultati erano invertiti; ancor oggi, con il termine "sinistro", si vuole indicare o un incidente o qualcosa di poco rassicurante, mentre con il sostantivo "destro" si intende abile, capace, adatto. Cicerone, contrario agli àuguri, ironizza sulla loro figura, ma comunque loro stessi, con il tempo, pensarono a screditare la propria immagine favorendo i patrizi: infatti, se ottenevano un auspicio negativo, l' atto pubblico veniva rimandato, se invece accadeva il contrario, veniva addirittura anticipato. Gli àuguri iniziarono persino a compiere auspici del tutto innaturali, ad esempio un pollo che si gettava sui chicchi di grano dalla fame e che perdeva cibo dalla bocca mentre mangiava era interpretato come uno dei migliori auspici. Ma quei polli erano stati tenuti in cattività senza cibo per alcuni giorni, quindi, come fa notare Cicerone, il loro comportamento era del tutto normale.

Arùspici: Livio sostiene che la comparsa dei primi arùspici a Roma risalga ai tempi di Tarquinio il Superbo. Questi venivano sempre scelti fra gli etruschi, erano un gruppo di sessanta sacerdoti, interpretavano i signa, solo se il senato lo avesse richiesto, in particolare osservavano le viscere degli animali immolati agli dei. I libri haruspicini fornivano spiegazioni sull' esame delle viscere, i fulgurales sull' interpretazione dei fenomeni celesti e i rituales su tutti quei fenomeni contro natura che facevano parte dei prodigi, fornendo anche le norme da seguire nella dedicazione dei luoghi sacri. Il loro potere era molto vasto, potevano annullare molti atti di vita politica e manifestazioni, favorivano l' aristocrazia, ma nonostante ciò erano disprezzati dai partizi. Petronio descrive satiricamente una scena in cui Enotea cerca di restituire la virilità a Encolpio con un atto premonitore che ha ben poco di sacro e credibile. Il più importante organo degli animali era il fegato, veniva suddiviso in due parti, su una si interpretavano gli eventi riguardanti i romani, sull' altra riguardanti altri popoli. Inoltre le pliche del fegato davano importanti segni per chi le sapesse interpretare, molto importante era il lato destro del fegato: se pieno e tondeggiante era di buon augurio, se invece di modeste dimensioni di cattivo augurio. Il presagio peggiore era la mancanza di un organo, in particolare il cuore, ma come ci fa anche notare Catone, era impossibile che un animale vivesse senza cuore.





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