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Commento e parafrasi alla poesia "Meriggiare pallido e assorto" di Eugenio Montale

Trascorrere le ore più calde della giornata immersi nel torpore e assorti a meditare, vicino a un muro reso rovente dal sole nei pressi di un orto. Ascoltare tra i frutti spinosi dei cespugli e gli arbusti secchi spinosi gli schiocchi dei merli e i fruscii delle serpi. Nelle crepe del suolo o sulla veccia, spiare le file delle formiche rosse, che ora si rompono e ora si intrecciano sulla sommità di minuscoli mucchietti di terra. Osservare tra le fronde del mare il moto lontano delle onde del mare, mentre si levano tremolanti canti di cicale dalle rocce aguzze e spoglie di vegetazione.

E andando nel sole che abbaglia, sentire con triste meraviglia come tutta la vita e il suo travaglio siano come il seguire una muraglia che ha in cima cozzi aguzzi di bottiglia.

Dal punto di vista metrico, la poesia è composta da quattro strofe, delle quali le prime tre sono quartine, mentre l'ultima è composta da cinque versi. I versi sono liberi, e si alternano liberamente endecasillabi, decasillabi e novenari.

Nella II strofa, il settimo verso costituisce un ipermetro, cioè è composto da dodici sillabe, superando così il limite di undici adottato negli altri versi della poesia. La regolarità del metro viene tuttavia ristabilita con il verso successivo, poichè la sillaba in eccedenza nel verso ipermetro si lega alla vocale del verso successivo.

Nella prima strofa, si succedono quattro versi legati tra di loro con un a rima baciata.

Nella seconda strofa, come già detto, la parola "intrecciano" del settimo verso perde la sillaba finale, creando così una rima spezzata con la parola "veccia" del quinto verso. La rima di questa strofa è quindi incrociata.

Nella terza strofa i versi si legano tra di loro ancora con rima baciata

Nella quarta strofa i primi due versi e gli ultimi due sono legati con rima alternata. Tra di essi si inserisce un verso a rima imperfetta.

Questa poesia presenta uno dei temi tipici di Montale: la durezza della vita e il disagio che l'uomo prova nel viverla. Questo disagio è causato dal fatto che l'uomo non è in grado di capire il senso della vita, e quindi essa gli appare arida e negativa. Questa aridità della vita e il disagio dell'uomo costituiscono il tema principale della poesia, e sono espressi in vari modi.

La poesia si apre subito con la presentazione di un paesaggio arido tipico di Montale, il litorale ligure.

Il frequente utilizzo di verbi al tempo infinito, fin dal primo verso, crea una dimensione irreale e quasi fuori dal tempo.

Il poeta colloca nelle ore più assolate del giorno il tempo della poesia, creando subito una atmosfera arida. Infatti, nei versi successivi inizia, a descrivere un paesaggio arido, caratterizzato da piante e frutti spinosi, terreni ricchi di crepe, rocce appuntite e spoglie, tipici elementi caratterizzanti i deserti.

In ciascuna delle prime tre strofe, il poeta presenta sempre sia aspetti del paesaggio naturale, che la vita che si trova in esso. Da un lato vi è il paesaggio naturale arido e scarno, simbolo di una vita a sua volta arida, inutile, senza senso, dall'altro l'attività degli animali, segno degli sforzi faticosi che l'uomo compie per cercare di vivere e combattere la durezza e l'aridità della vita.

Questa vita è rappresentata dagli "schiocchi di merli, frusci di serpi" (v. 4), dalle "[...] rosse formiche/ ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano / a sommo di minuscole biche" (vv. 6-8), dai "tremuli scricchi / di cicale [...]" (v. 11-12).

Questa vita è tuttavia faticosa e senza senso, inutile, come esprime l'analogia dei versi 9 e 10: "Osservare tra frondi il palpitare si scaglie di mare". Il mare, accostato al verbo palpitare con una sinestesia, diventa simbolo della vita. L'uomo tenta di comprendere il senso della vita, ma non può, a causa di numerosi ostacoli, rappresentati dal poeta con le fronde degli alberi e con la lontananza di un mare non intero, ma ridotto in scaglie.

La vita è invece presentata come chiusa da barriere, rappresentate dal tema del muro, che ricompare all'inizio e alla fine della poesia, contrapponendosi all'immensità del mare.

Il tema della vita senza senso, incomprensibile all'uomo, e quindi della sofferenza e del disagio che l'uomo prova nel viverla sono riassunti nell'ultima strofa, dove risalta la parola "travaglio" (v.15). Questa infatti non è composta come tutte le altre strofe della poesia da quattro versi, ma da cinque, e la parola "travaglio" è inserita nel verso che occupa la posizione centrale. Inoltre tutti gli altri versi della strofa rimano fra di loro a rima baciata, mentre la parola travaglio è una rima imperfetta, in particolare una consonanza.

In questa poesia, la parola svolge un ruolo morto importante. Per rendere meglio la durezza e l'aridità del paesaggio descritto, Montale utilizza in tutta la poesia numerose allitterazioni con suoni duri e gutturali, come r e t. Ne sono un esempio le parole "schiocchi" (v.4), "scricchi" (v.11), "picchi"(v.12).

Nei primi due versi, "Meriggiare pallido e assorto, preso un rovente muro d'orto, " è presente ad esempio l'allitterazione delle lettere "tr".

Altra allitterazione è costituita dalle lettere "s" e "r" nei versi 3 e 4 : "ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi".

Un altro esempio di allitterazione si trova nei versi 14 e 15 : "sentire con triste meraviglia / com'è tutta la vita ed il suo travaglio."

Dal punto di vista linguistico, il poeta utilizza un linguaggio scarno ed essenziale, attraverso parole molto precise, che definiscono inequivocabilmente un oggetto. Questo linguaggio si adatta bene a esprimere l'aridità del paesaggio descritto. Ne sono un esempio parole come "pruni" (v. 3), "sterpi" (v. 3), "veccia" (v. 5), "minuscole biche" (v. 8), "scricchi" (v. 11).

L'utilizzo di una terminologia precisa contribuisce a creare una poesia ricca di oggetti concreti, che assumono nel contesto un significato simbolico.

Seguendo l'intenzione di utilizzare termini precisi per descrivere la realtà, il poeta utilizza molti vocaboli onomatopeici per rendere i suoni del paesaggio che sta descrivendo, come "schiocchi di merli, frusci di serpi" (v.4), "palpitare [...] di mare" (vv. 9-10).







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