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Sopravvissuta ad Auschwitz

Liliana Segre tra le ultime testimoni della Shoah

di Emanuela Zuccalà

Riassunto ragionato:

Il libro contiene la testimonianza di Liliana Segre, di 74 anni, che visse la seconda guerra mondiale e la Shoah dagli otto ai quindici anni.

La sua è una testimonianza sicuramente fondamentale ed importante, che ci aiuta a capire come fosse la vita in quegli anni, come il governo fascista e quello nazista avessero pian piano fatto terra bruciata attorno agli ebrei, i quali, ridotti a poveri esseri senza dignità, furono costretti a nascondersi nei casi più fortunati o a sopravvivere in un campo di lavoro come quello di Auschwitz per i più sfortunati. La testimonianza di Liliana aiuta, inoltre, a comprendere l' importanza dei sentimenti più semplici: a quell'epoca anche il solo ricevere un sorriso accennato era per un ebreo una grande conquista.

L' opera di isolamento degli ebrei iniziò a partire dal 1938: i bambini non potevano frequentare le scuole pubbliche, gli adulti sposare persone di razza ariana, insegnare, lavorare nella pubblica amministrazione, avere una domestica e così via.

Già da questo si può comprendere come un ebreo potesse sentirsi in quell' epoca, poichè di punto in bianco gli furono negati lavoro e possibilità di cui precedentemente era solito godere.

In quel periodo, Liliana aveva otto anni, apparteneva ad una famiglia ebraica non praticante, i cui componenti erano il padre e i nonni paterni, la madre, invece, era morta quando Liliana aveva appena un anno di vita.

Quando vennero emanate la leggi razziali, Liliana aveva appena terminato la seconda elementare, le venne detto che non avrebbe più potuto frequentare la scuola pubblica e inizialmente non riuscì a comprenderne il motivo, benché il padre cercasse di spiegarglielo.

Immagino quanto potesse essere difficile per una bambina comprendere il motivo per cui non poteva più frequentare la scuola di sempre, solo perché di razza ebrea.

Ma l' opera di isolamento degli ebrei continuò e non solo da parte del governo, ma anche dei civili influenzati dalle nuove leggi emanate: improvvisamente la piccola Liliana e la sua famiglia furono relegati nella cosiddetta "zona grigia", non vennero più salutati dagli amici, ogni giorno incontravano l' indifferenza sui volti delle persone, quando Liliana si dirigeva verso la nuova scuola privata veniva additata dalle ex-compagne di classe, insomma la famiglia Segre iniziò a sentirsi diversa.

Spesso la polizia entrava in casa Segre e faceva dei controlli, intanto Liliana veniva allontanata in un' altra stanza, perché non ascoltasse.

La situazione peggiorò con lo scoppio della guerra, nell' ottobre del '42 la famiglia Segre si trasferì a Inverigo, dove non esisteva scuola privata e così a dodici anni Liliana smise di studiare. La sua più grande occupazione divenne il nonno Pippo, ammalato di Parkinson, al quale voleva molto bene.

Una piccola speranza nacque quando, un giorno, il padre di Liliana riuscì ad ottenere un permesso per i nonni dal comune di Como: si dava la possibilità ai due anziani di rimanere in Italia, poichè non avrebbero potuto nuocere a nessuno. Liliana e il padre vollero credere a quel permesso, ne avevano bisogno per poter continuare a sperare in una vita almeno dignitosa per loro e per i nonni.

In realtà, in futuro, i nonni verranno trasferiti nel campo di Fossoli, poi nel carcere di San Vittore a Milano ed infine ad Auschwitz, dove verranno uccisi nelle camere a gas.

Nel dicembre del 1943, Liliana e il padre tentarono la fuga in Svizzera, ma, poco dopo aver attraversato il confine si diressero in un bosco e furono subito catturati dalle guardie svizzere. Dopo essere stati al comando di polizia, vennero rimandati indietro, cercarono di ripassare il confine, ma l' allarme suonò e così vennero arrestati.

Da quel momento in poi, iniziò la prigionia della giovane Liliana e del padre.

A soli tredici anni, infatti, Liliana entrò nel carcere femminile di Varese, fu per lei una esperienza traumatizzante, conobbe però una ragazza di nome Violetta, che la confortò.

E' sconvolgente essere trattati come dei criminali, senza aver compiuto alcun reato, l' unica colpa è quella di essere nati ebrei, ma come può una persona essere giudicata solo in base alla razza di appartenenza?

Poco dopo, Liliana venne inviata al carcere di San Vittore a Milano, qui passò momenti terribili, ma anche momenti felici per la presenza di suo padre, al quale era di conforto.

Dopo quaranta giorni tutti i prigionieri dovettero prepararsi a partire, ma per dove? Alla partenza, furono di grande conforto i carcerati che incoraggiarono gli ebrei, "...il sentimento della pietà verso un proprio simile, colpevole solo di essere nato, è un dono..." .

Vorrei sottolineare il fatto che Liliana abbia ricevuto sostegno da coloro che erano prigionieri perché avevano compiuto dei reati, ma che, sicuramente, ebbero più cuore di coloro che parteciparono alla deportazione e che, così facendo, compirono crimini forse maggiori di quelli dei prigionieri.

Circa seimila ebrei, così, furono deportati ad Auschwitz, serrati in vagoni senza luce e senza cibo, solo un catino per i bisogni fisici.

Il viaggio fu caratterizzato da una prima fase in cui si piangeva per il terrore e la disperazione, poi iniziò la fase della speranza attraverso la preghiera ed infine quella del silenzio: non vi era più nulla da dire. I prigionieri avevano capito che l' unica cosa da farsi era attendere il destino a cui non avrebbero potuto mai ribellarsi.

Arrivati ad Auschwitz, i deportati furono divisi tra maschi e femmine, da lì in avanti Liliana non avrebbe mai più rivisto il padre. Ma in quel momento non poteva saperlo, ciò che mi colpisce però è che, appena libera, Liliana non si preoccupi particolarmente di ritrovare il padre.

Ritornando al racconto, successivamente i prigionieri furono divisi in due ulteriori gruppi, uno sarebbe andato direttamente alle camere a gas, l' altro ai lavori forzati. Liliana aveva solo tredici anni, età in cui si era inviati direttamente alle camere a gas, ma la giovane dimostrava più anni e così venne mandata ai lavori forzati.

Tutte le donne furono svestite dei loro indumenti e rivestite con pantaloni e giacca a righe e zoccoli di legno, si tagliarono loro i capelli ed infine venne loro marchiato sul braccio sinistro un numero. Con ciò l' opera di isolamento era completata, isolamento non solo dal mondo esterno, ma anche dalla propria persona, trattati come animali da soma senza nome, senza carattere.

Subito, altre donne già presenti da due settimane nel lager, informarono le nuove arrivate sul significato del fumo nelle ciminiere e su come comportarsi.

Con il passare dei giorni, Liliana smise di piangere, iniziò a chiudersi in se stessa, non parlava con nessuno, viveva nel lager in mezzo alla sporcizia più assoluta e dormiva la notte su duri tavolacci di legno, dovendosi assicurare che non le venisse rubato nulla. Si, perché la vita era talmente dura che anche il trovare un bottone, come dice Primo Levi nel suo libro "Se questo è un uomo", poteva essere di vitale importanza.

Fortunatamente Liliana fu mandata a lavorare in una fabbrica di munizioni, le venne risparmiato il duro inverno e così riuscì a sopravvivere.

Nel lager vi erano diverse reazioni al duro trattamento: chi si lasciava morire, chi diventava come i Kapos, chi, come Liliana, si rifugiava in un proprio mondo, non accettava nulla di quello che proveniva dall' esterno e inventava una propria realtà con la fantasia: " Io sono quella stellina. Finchè la stellina brillerà nel cielo io non morirò, e finchè resterò viva io, lei continuerà a brillare". Ma in realtà Liliana non voleva amare ed essere amata, qualsiasi affetto le avrebbe poi procurato dolore, nel momento del distacco.

Un altro modo di reagire alla vita nel lager citato non da Liliana, ma sempre da Primo Levi, era il ricordare a memoria i passi della "Divina Commedia", in cui si narra di Ulisse che oltrepassò la soglia possibile, volendo conoscere anche l' inconoscibile alla menti umane.

Intanto, le giornate trascorrevano sempre uguali, si lavorava, se qualche donna cadeva e non si rialzava più, veniva subito sostituita da un' altra, al ritorno dalla fabbrica si riceveva un pezzo di pane con della margarina e si assisteva al terribile spettacolo delle donne uccise, maltrattate e picchiate e delle ciminiere che emanavano il fumo di vite innocenti bruciate, le notti trascorrevano nel freddo ed erano piene di rumori e lamenti.

Liliana riuscì a superare tre selezioni, nuda, privata della propria identità, davanti alle SS, che sceglievano quali mandare a morte e quali far continuare a vivere. Janine, giovane lavoratrice del lager come Liliana, aveva perduto da pochi giorni alcune falangi, così non superò la selezione, ma Liliana non le disse una parole di conforto, questo la farà sentire in colpa per il resto della vita. Per la giovane Janine sarebbe stato di aiuto essere consolata, sarebbe morta con la consapevolezza di essere amata da qualcuno, ma la durezza del lager aveva indurito anche il cuore da Liliana.

Verso la metà di gennaio 1945, i tedeschi, perdendo su ogni fronte, decisero di non far trovare traccia alcuna di ciò che era avvenuto nei lager, così vollero distruggere ogni documento, far saltare in aria quei luoghi di terrore e far evacuare tutti i detenuti.

Iniziò allora la grande "marcia della morte", verso l' indefinito: tutti i detenuti dovevano camminare e camminare velocemente, perché i civili non vedessero in quali condizioni fossero, nel freddo, in mezzo alla neve, senza forze, non bisognava cadere, altrimenti le SS ti uccidono con un colpo di fucile, gli unici sostentamenti erano ciò che si trovava per terra e i corpi delle vittime morte.

Si può comprendere come i prigionieri fossero affamati, se addirittura ridotti a cibarsi dei corpi di coloro che fino a poco prima marciavano accanto a loro.

I prigionieri furono poi portati in un luogo in cui vennero disinfettati e lavati ed infine rinchiusi nel lager di Malchow, qui non lavoravano, molti però morirono di stenti o malattia. Liliana stessa aveva una pustola sotto l' ascella che le procurava una infezione e un dolore acuto, decise quindi di farsi curare all' ospedale del lager.

Si manifestarono anche segni di umanità: una donna donò una rotella di carota a Liliana e dei giovani soldati incoraggiavano da fuori il lager le detenute e le informavano sugli ultimi avvenimenti della guerra. Questi furono importanti come i carcerati di San Vittore per Liliana e le altre prigioniere, poiché diedero loro la forza di continuare.

Finalmente i russi e gli americani arrivarono e i detenuti furono liberi.

A Liliana capitò una cosa più che singolare: un ufficiale si spogliò davanti a lei per rimettersi gli abiti civili, caddero i vestiti e la pistola, Liliana avrebbe potuto prenderla e ammazzare l' uomo, ma cambiò subito idea. "Io avevo sempre scelto la vita. Quando si fa questa scelta non si può togliere la vita a nessuno". Già, perchè se si decide di vivere bisogna anche far vivere e non abbassarsi alla cattiveria delle azioni delle SS, divenendo come loro.

Appena libera, Liliana non sapeva dove si trovava, cosa fare di sé e della propria vita. Fortunatamente, sulla via ritrovò una giovane polacca con cui aveva trascorso gli ultimi giorni nel lager di Malchow, le chiese dove fossero le ragazze francesi, questa le disse nella fattoria insieme ai soldati francesi e così Liliana si unì a loro.

Liliana si sentiva euforica, ubriaca di felicità. L' unico pensiero era la libertà, voleva anche lei dimenticare. Il giorno seguente, i ragazzi francesi si fecero invitare a pranzo dal borgomastro del paese, poiché nella fattoria non era rimasto cibo.

Successivamente, i ragazzi francesi decisero di andare a Jessennitz, poiché vi si sarebbero recati anche gli americani e i russi. Arrivati, videro una gran quantità di soldati, gli americani ricchi ed ordinati, i russi più poveri e disorganizzati. Liliana si sistemò in una casa abbandonata e vi trascorse qualche giorno, mangiando quanto voleva.

Quindi, Liliana si unì ai propri connazionali, prima sotto la protezione dell' esercito inglese, in quel periodo Liliana soffrì di febbri alte, poi, di nuovo sotto quello americano. Liliana si trovò in una casa con altre giovani ragazze e soldati, passava le giornate nell' orto, mangiava e pian piano iniziò a partecipare alla vita della casa.

Arrivò il momento in cui Liliana decise di ritornare a casa, venne caricata su un treno insieme a numerosi altri italiani, quando giunse a Bolzano, Liliana fece registrare il suo nome, aveva la possibilità di ritornare entro sei mesi e poter lavorare in cucina o far pulizie presso la stazione di Bolzano.

Liliana non sapeva chi avrebbe trovato a casa, né se la sua casa esistesse ancora, durante il viaggio la accompagnò una giovane di Roma conosciuta nel lager, Graziella.

Arrivata a casa, Liliana venne accolta dalla famiglia Gatta, poi si trasferì dagli zii.

Questi fecero di tutto per trattarla bene, ma Liliana era per loro un peso: aveva perso le buone maniere, era rozza e la sua corporatura robusta rendeva difficile credere che avesse tanto sofferto nel lager. I parenti e gli zii, invece, facevano a gara a raccontare cosa avessero dovuto sopportare in quel periodo: ma tutto era nulla paragonato alle sofferenze di Liliana. Liliana, così, divenne silenziosa, si teneva tutto dentro, rinunciò a far comprendere le difficoltà che aveva sopportato nel lager.

Inizialmente Liliana ebbe grandi difficoltà nel comportarsi da persona civile, dopo tutto quello che aveva passato era veramente impossibile per lei poter accettare le buone maniere come non dire parolacce o lavarsi le mani prima di andare a mangiare.

I discorsi sui lager, negli anni immediatamente successivi, preferì lasciarli in disparte, tutti volevano dimenticare e nessuno aveva intenzione o era in grado di ascoltare Liliana, le veniva solo chiesto di mostrare il numero tatuato sul braccio, nemmeno con le amiche riusciva a liberarsi di quel grande peso, non avrebbero potuto capire.

Immagino come, dopo un anno di prigionia nel lager, Liliana abbia desiderato ritornare a una vita serena, ma molte delle speranze nutrite durante il ritorno saranno sicuramente state vanificate dal comportamento degli zii.

L' unico conforto era la donna delle pulizie che prima abitava con lei e con i suoi nonni, Susanna, alla quale era molto legata affettivamente.

Liliana riprese la scuola e frequentò un corso di lingue e poi, per poter accedere al liceo classico, recuperò cinque anni in uno.

Quindi, Liliana si trasferì a vivere con i nonni materni, vi era un' aria molto più serena e vivace e Liliana si sentì meno sola.

Un giorno Liliana andò al mare con i nonni e vide un giovane, pensò che era davvero un bel ragazzo e da lì a poco la cugina li presentò. I due iniziarono a parlare e nel giro di due o tre giorni si fidanzarono. I nonni non assecondarono il fidanzamento: sostenevano che ne sarebbe stata delusa, perchè lui aveva dieci anni in più di lei. Mai i due giovani insieme parlavano di diversi argomenti, tra cui la seconda guerra mondiale e le loro esperienze, lui la incoraggiò a vivere secondo regole civili. Per fortuna i suoi nonni si sbagliavano: lui diventerà suo marito.

Penso che per Liliana l' arrivo di questo amore inaspettato sia stata fonte di grande consolazione e che quest' uomo l'abbia parecchio aiutata a tirar fuori tutti i suoi sentimenti più reconditi e a darle sollievo.

Oggi Liliana trascorre una vita felice, è sposata, ha figli e nipoti.

In passato, però, la sua vita non è stata sempre felice, ha trascorso momenti difficili, di crisi, poiché fare i conti con il passato non è mai stato per lei molto semplice. Fortunatamente la crisi avuta a 46 anni passa e Liliana addirittura inizia a lavorare e ciò le è di grande aiuto.

Con i propri figli non parla mai apertamente della propria esperienza perché sarebbe troppo difficile sia per se stessa che per loro, ma comunque, in qualsiasi suo gesto o frase, la Shoah riaffiora sempre.

Dal 1990, dopo molti dubbi, incertezze su se stessa e un lungo cammino interiore, Liliana decide di divenire una testimone della Shoah. Il motivo per cui Liliana sceglie di testimoniare è quello di voler render vivo il ricordo di tutte quelle persone che sono morte nel lager o che l' hanno sostenuta durante la sua tragica esperienza, da suo padre a una ragazza che fu uccisa incinta nel campo di sterminio, alle persone che avevano condiviso con lei la cella a San Vittore.

Inizialmente parla a piccoli gruppi, ma rendendosi conto che non è più giovanissima, che gli anni trascorrono anche per lei, parla a gruppi di sei-settecento persone, perché il suo messaggio possa arrivare a più persone possibili.

Liliana è molto sensibile a ciò che racconta e quindi, ogni volta che vi sono insegnanti e studenti irrispettosi, è molto contrariata e delusa.

Liliana riesce, con la sua opera, a commuovere e a colpire molti ascoltatori e questo è dimostrato anche dalle numerose lettere che le sono state inviate in ringraziamento da parte di insegnanti e alunni.





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