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Giovannino Guareschi

Mondo Piccolo - Don Camillo

Trama e commento

Anno di pubblicazione :1948

Tempo: dal Dicembre 1946 al Dicembre 1947

Luogo: Bassa Pianura Padana

TRAMA

Il libro si apre con un'introduzione dell'autore, che ha lo scopo di introdurre il lettore all'ambiente in cui si svolge la narrazione. Oltre a scrivere considerazioni proprie, l'autore presenta tre brevi racconti ambientati nella bassa pianura padana.

La Prima Storia narra di Chico, un bambino che si ammala di febbre alta. Poichè i dottori non riescono a trovare una cura per la malattia, il padre del bambino, che è un contadino con una grande azienda, organizza una preghiera comunitaria con tutti i famigli che lavorano presso di lui. Nonostante ciò, le condizioni di Chico non migliorano. Il padre si reca allora dal prete della zona e lo invita a pregare per suo figlio, perchè se Chico fosse morto, l'uomo avrebbe fatto esplodere l'intera chiesa. Dopo una lunga preghiera, le condizioni di Chico migliorano miracolosamente, e suo padre, per ringraziare Dio e il prete, dona mille lire alla Chiesa.

La Seconda Storia narra dell'arrivo degli uomini di città nella campagna della Bassa. Il padre del narratore, che possedeva un'azienda agricola, un giorno trova sei uomini di città che stanno misurando uno dei suoi campi per farvi passare una ferrovia. L'uomo, per ostacolarli e per prendersi una rivincita sulle loro prepotenze, durante la notte allaga il campo, costringendoli il giorno seguente a compiere le misurazioni nel fango. Ma i lavori di costruzione della ferrovia iniziano lo stesso. Appena arrivati alcuni addetti ai lavori, il cane del padrone del campo si avventa contro di loro, che lo uccidono per difendersi. Il padrone allora seppellisce il cane vicino all'argine del Po. In autunno, proprio in quel punto, l'argine si rompe, e l'allagamento fa sospendere definitivamente i lavori per la ferrovia.

La Terza Storia narra di un ragazzo che si innamora di una ragazza, che tutti i giorni lo aspetta al lato di una strada per salutarlo. Tornato dal servizio di leva, il ragazzo continua a passare per la stessa strada, salutando non più la ragazza, che è morta in un incendio, ma il suo spettro, che lo attende ugualmente nello stesso luogo ogni giorno.

Dopo l'introduzione e le tre storie, prende avvio il romanzo vero e proprio. La narrazione è divisa in 36 capitoli, ciascuno dei quali contiene una piccola storia, che inizia e si conclude nello stesso capitolo. Fanno eccezione gli ultimi tre capitoli, che contengono un'unica storia tripartita. I protagonisti indiscussi dei racconti sono sempre il parroco Don Camillo, di pensiero liberale, e il sindaco Giuseppe Bottazzi, detto Peppone, di pensiero socialista. Tra i due protagonisti c'è una accesa rivalità, alla luce della quale vengono narrati gli episodi di vita quotidiana del paese, argomento dei racconti.

Il paese dei due protagonisti non viene specificato, ma è inserito in un contesto preciso: il luogo è la bassa pianura padana, mentre le storie coprono il tempo di un anno, dal dicembre del 1946 al dicembre del 1947, cioè nell'immediato dopoguerra. Quindi i vari racconti non sono scollegati tra loro, ma hanno un filo conduttore, costituito dal susseguirsi delle stagioni nel paese. Così i primi racconti si svolgono in clima di elezioni e di propaganda politica, quando Peppone non è ancora sindaco. Dopo le elezioni, che vengono vinte dal partito comunista, Peppone, che è diventato sindaco, dà avvio alle iniziative per governare il paese. Così si attiva per costruire un centro culturale e ricreativo chiamato Casa del Popolo, al quale Don Camillo oppone il Ricreatorio Popolare (Il tesoro), oppure promuove comizi tenuti da esponenti importanti della sinistra (Rivalità), al quale Don Camillo opporrà un comizio tenuto da un liberale (Il comizio), o ancora indice uno sciopero generale, al quale Don Camillo si opporrà con forza (Sciopero Generale). Accanto alle vicende che hanno origine da motivi politici, ve ne sono altre, che invece, pur avendo sempre come causa la rivalità tra i due uomini, non sono a marcato sfondo politico. Così si racconta della partita tra le squadre di calcio di ragazzi della Casa del Popolo e del Ricreatorio Popolare (La disfatta), oppure dell'incontro di boxe nel quale Don Camillo sconfigge il pugile federale che aveva mandato al tappeto Peppone (Il Vendicatore), o ancora la gara di forza ai baracconi del paese (Rivalità). Infine vi sono altri episodi che non hanno origine dallo scontro tra i due personaggi, ma da altre cause, come il matrimonio tra i giovani di due famiglie rivali (Giulietta e Romeo), o la paura per un cane che ulula sinistramente di notte (Il cane).

L'ultima storia, invece, è più articolata, ed è divisa in tre capitoli. Peppone, credendo che sia stato compiuto un attentato con un bomba ai danni de suo partito, parte con i suoi uomini più fedeli per la casa di Pizzi, l'uomo sospettato del malfatto. Durante il colloquio, che si svolge in casa, Pizzi estrae una pistola per difendersi, ma dall'esterno della finestra parte un colpo di fucile che uccide l'uomo. Peppone non dice nulla, tutti se ne tornano a casa e le indagini concludono che Pizzi si è suicidato con la rivoltella che aveva in mano. Ma Don Camillo, che non crede a questa versione dei fatti, decide lo stesso celebrare il funerale cristiano per il morto, anche se è creduto suicida. Poi pubblica su suo giornale la vera versione dei fatti, che gli è stata raccontata dal figlio del Pizzi, l'unica persona ad aver visto l'assassino. La paura però si diffonde per il paese e Don Camillo rischia di essere ucciso dall'assassino del Pizzi mentre è in chiesa; si salverà miracolosamente grazie all'intervento del Cristo, che gli sposta la testa, facendogli evitare il colpo di fucile. Il racconto si conclude con un dialogo tra Peppone e Don Camillo, ne quale il sindaco racconta che lui e il suo fedelissimo Brusco pattugliano costantemente la casa di Don Camillo e del figlio di Pizzi, perchè sono le uniche due persone a conoscere la verità e rischiano di essere uccisi.

COMMENTO

Per poter comprendere questo libro, bisogna conoscere a fondo i temi che guidano l'autore: il clima sociale e politico dell'epoca. Senza considerare questi due elementi, può sembrare che il libro racconti storie assurde, che non avrebbero mai potuto verificarsi nella realtà. L'autore stesso è consapevole di questi rischi e infatti premette al libro un capitolo di introduzione, che ha due funzioni: ambientare il lettore a un ambiente storico, geografico e sociale diverso dal suo e introdurre, anche indirettamente, i temi che guidano il libro.

1) IL TITOLO DEL LIBRO

Il titolo del libro, Mondo Piccolo - Don Camillo, non indica solo l'argomento della narrazione, ma suggerisce anche alcuni temi di fondo del libro. Il termine mondo determina una caratteristica fondamentale dell'ambiente nel quale si svolge la storia: esso costituisce un mondo intero, con le proprie leggi, la propria cultura, i propri personaggi. E l'ambiente di un paese di campagna qualunque, tra l'Appennino e il Po, probabilmente in Emilia-Romagna, immerso nella vita agricola e ancora attaccato alle proprie tradizioni e ai propri costumi, chiuso e diffidente verso tutto ciò che proviene dal mondo esterno. Non è una parte di un mondo esteso, in contatto con altre realtà, come per esempio poteva essere una grande città, che aveva relazioni con molti altri ambienti. E' un'entità a sé stante, basata sulle proprie leggi ed autonoma.

Il termine piccolo indica il soggetto del libro: non grandi imprese di uomini illustri, ma le vicende delle persone comuni e umili di un paese di campagna, tra le quale rientrano anche il sindaco Peppone e il parroco Don Camillo, che, nonostante occupino le due posizioni più importanti nella gerarchia del mondo del paese, restano comunque piccoli, cioè umili e semplici come tutti gli altri abitanti, senza differenza alcuna. La specificazione Don Camillo indica a favore di quale personaggio l'autore tenda, cioè appunto Don Camillo, che nelle vicende risulta spesso vincente.

2) LO STILE NARRATIVO

a) Il ruolo dell'autore: il cronista

Il primo elemento fondamentale di un libro, che permette all'autore di entrare in comunicazione con il lettore, è sicuramente la lingua utilizzata; appena dopo, nella narrazione di un testo, ha grande importanza la posizione nella quale l'autore si pone: può decidere di commentare attivamente il testo, o di narrare semplicemente le vicende come osservatore esterno, può raccontare subito ogni aspetto della storia, o svelarla lentamente.

Consapevole di ciò, Guareschi tratta anzitutto nella sua introduzione della lingua e della sua posizione nella vicenda. L'autore dichiara di scegliere la posizione di cronista, e fornisce subito, come al solito, un riferimento concreto: la lingua e la posizione adottate sono quelle di un cronista di un qualunque quotidiano, come quello presso il quale ha lavorato da giovane. L'autore vuole riportare i fatti così come sono avvenuti, restando del tutto imparziale: "[...] in questo libro io sono quel cronista di giornale e mi limito a raccontare di fatti di cronaca" . L'autore adotta il rigore di un cronista in tutti gli ambiti, anche in quello della fantasia: il suo racconto non nasce solo dalla pura immaginazione, ma anche dalla considerazione razionale del luogo, del tempo, delle persone, che possono dare orgine a determinate vicende: "[...] uno considera il tempo, la stagione, la moda e il momento psicologico e conclude che, stando così le cose, in un ambiente x possono verificarsi questa e quest'altra vicenda". Fin dall'inizio appare così l'intento dell'autore di ricercare un grande realismo nelle vicende narrate, che sono collocate in un ambiente preciso, indicato dallo stesso autore: la bassa pianura padana, dal dicembre del 1946 al dicembre del 1947.

b) Le descrizioni

In realtà, durante la narrazione, Guareschi non si limita al ruolo di semplice cronista, ma ne amplifica le qualità tipiche. La lingua di una cronaca è già normalmente molto sintetica e lineare, ma l'autore porta a estreme conseguenze queste caratteristiche. Così il discorso è scarno ed essenziale, non ci sono parole particolarmente complesse, e in alcuni casi, alcune parti della vicenda o le spiegazioni di quanto è accaduto vengono omesse e tocca al lettore dedurle. Spesso ci sono cambi di scena improvvisi, senza alcuna introduzione o passaggio tra un ambiente e l'altro, e i paragrafi del testo possono essere formati anche solo da poche frasi. Anche le descrizioni sono molto sintetiche e gli unici particolari sui quali si ferma Guareschi sono quelli necessari alla storia o ai suoi scopi. Così, in una frase detta riguardo al maresciallo dei carabinieri, l'autore riesce a rendere un'idea molto chiara del personaggio: "Il maresciallo dei carabinieri era uno che sapeva stare al mondo: si incontrò per caso con Don Camillo". In un solo periodo, Guareschi ha reso l'idea di un uomo esperto della vita, autorevole, astuto e discreto. Nel libro non c'è nessuna descrizione dettagliata di un luogo, un personaggio, un avvenimento, e sembra quasi che l'autore ne prenda le distanze. A prova di ciò l'introduzione, dove l'unica descrizione dettagliata ed elegante dei luoghi delle storie, che è necessaria per ambientare il lettore, non viene scritta dall'autore, ma tratta da un testo di Luigi Campari.

Se Guareschi utilizzasse delle descrizioni precise, se raccontasse tutta la storia in modo completo, se spiegasse ogni passaggio della narrazione, il lettore avrebbe un quadro completo e preciso della vicenda. Ma Guareschi non vuole far comprendere al lettore la storia attraverso una narrazione ragionata e calcolata, ma attraverso l'intuito e il sentimento. Il lettore deve intuire le parti mancanti della vicenda, deve immaginarsi tutti gli aspetti che non vengono narrati. In questo modo la sua fantasia ha largo spazio e la vicenda tocca da vicino il lettore, perchè non è appresa solo con un ragionamento, ma anche attraverso il sentimento.

c) La lingua

Seguendo i principi della cronaca, Guareschi cerca di rendere la narrazione la più verosimile possibile. Per questo utilizza un linguaggio molto vicino a quello parlato. Le frasi sono legate dalla coordinazione e non hanno strutture di subordinazione particolarmente complesse. Si fa ampio uso di modi di dire popolari e di termini usati nella lingua parlata, senza mai servirsi del dialetto vero e proprio. La lingua usata è l'italiano quale potrebbe davvero essere parlato da una persona di campagna: semplice e ricco di vocaboli locali. In particolare l'uso degli aggettivi è originale: normalmente Guareschi non li utilizza e preferisce altri espedienti per determinare, come complementi di specificazione o perifrasi del linguaggio parlato. Gli aggettivi compaiono però quando bisogna esprimere un concetto particolare, che è importante per la storia (per esempio, ne La paura continua, viene detto "[...] il Pizzi era apolitico", elemento essenziale per le indagini della vicenda), oppure quando si deve comunicare un concetto particolarmente intenso (per esempio, sempre ne La paura continua, viene detto "[...]la gente era indignatissima", riferito agli interrogatori dei carabinieri).

d) Il giudizio dell'autore

Seguendo sempre il criterio di imparzialità della cronaca, Guareschi non inserisce quasi mai direttamente i suoi commenti nel racconto, ad accezione di alcune occasioni, per esempio nell'ultima storia, Giallo e Rosa, quando commenta riguardo a Peppone: "[...] Sono proprio gli omoni grossi che son fatti per le cose piccolissime", oppure nel finale del libro, quando compie una riflessione sulla ricerca affannosa del progresso da parte dell'uomo. L'assenza di commenti diretti non vuol dire che l'autore rinunci ad esporre la propria opinione riguardo alla storia. Il suo parere emerge indirettamente, dalle parole dei personaggi o da un particolare modo di presentare i fatti, che fanno sorgere nel lettore un giudizio spontaneo, il quale risulta essere anche quello di Guareschi. Di volta in volta, a seconda che a sbagliare sia Peppone o Don Camillo, l'altro compagno gli si oppone, e dal dialogo tra i due emerge il giudizio negativo sull'errore che si sta compiendo. Al contrario il Cristo, che è il terzo protagonista, il quale, come dice Guareschi stesso, rappresenta la voce della sua coscienza e quindi ne rappresenta in pieno il pensiero. Questo è un elemento originale dell'autore, che riesce a inserire a pieno la sua voce senza utilizzare metodi tradizionali. Considerando la grande religiosità di Guareschi, il legame tra l'autore e il Cristo del libro è evidente: come Dio è l'entità suprema che governa e guida il mondo e gli uomini che lo abitano, così l'autore è colui che guida e decide le vicende del libro. E grazie al personaggio del Cristo, Guareschi non solo può esprimere il suo parere, ma può addirittura dialogare con i suoi stessi personaggi, creando un confronto molto efficace tra la sua opinione e la loro, dalla quale il lettore può trarre un insegnamento più convinto.

Queste decisioni narrative sono in linea con il principio intuitivo che Guareschi segue: il lettore non deve comprendere il suo parere direttamente, ma attraverso l'intuizione, la presentazione diretta dei fatti, che fa sorgere spontaneamente un giudizio. Spesso anche l'umorismo del libro è basato sull'intuito. La narrazione scorre liscia senza interruzioni, ma l'umorismo nasce dall'accostamento contrastante dei due fatti che risultano ironici. Il lettore insomma è come se si trovasse davanti alla scena, e cogliesse da solo l'evento ironico. Un esempio è il racconto La maestra vecchia, dove si narra della riunione in comune per decidere se i funerali della vecchia maestra del paese si debbano svolgere o meno con la bandiera del Regno d'Italia. Peppone dice: " I rappresentanti dei partiti reazionari fanno il piacere di stare zitti perchè tanto sappiamo benissimo che loro sarebbero felicissimi anche se ci fosse la banda che suona la cosiddetta marcia reale". E la riga successiva narra: "Parlò per primo quello del Partito d'Azione [...]", che era un partito appunto reazionario.

3) I TEMI DEL RACCONTO

a) Il clima politico

Il clima politico: fascisti e comunisti

Sicuramente il primo tema che risulta evidente nelle vicende di Don Camillo e Peppone è quello politico. La rivalità tra i due uomini si basa sia su motivi personali che su motivi politici, anzi, spesso sono i motivi politici i veri motori delle storie. In alcuni casi il racconto ha come tema principale un contrasto politico, come nel caso dei comizi tenuti dai relatori comunisti (Rivalità) o da quelli liberali (Il comizio). In altri casi invece il motore della vicenda è diverso, ma resta comunque lo sfondo politico: è il caso, per esempio, di Giulietta e Romeo, dove due famiglie da tempo antagoniste si scontrano perchè i propri figli vogliono sposarsi. Infine, in alcune rare storie, la vicenda politica ha davvero poco conto, come ne La Festa, in cui Peppone e Don Camillo sono alle prese con una festa di paese.

In ogni caso, l'argomento politico è una presenza costante, che spesso determina i rapporti tra i personaggi e i loro comportamenti. Anche quando il motivo dello scontro è diverso, c'è sempre il rischio che la discussione assuma tono politico, tanto che spesso ricorre la frase "non mettiamo la questione in politica", a sottolineare il fatto che si tendesse ad interpretare ogni avvenimento alla luce della politica. La visione politica dei personaggi è sicuramente portata agli estremi e i loro ragionamenti si basano spesso su stereotipi: gli uomini di destra sono clericali, reazionari, borghesi, oppressori del proletariato, fascisti, mentre gli uomini di sinistra sono anticlericali, mangiapreti, rivoluzionari, a favore del popolo, comunisti. Ma nonostante questa tendenza, l'ambiente descritto nel libro riflette bene il clima fortemente politico dell'Italia del dopoguerra: dopo essere stato governato per vent'anni da una dittatura di destra e liberato grazie ad un buon aiuto della resistenza di sinistra, il popolo italiano sentiva molto vicino il dibattito politico. Infatti in passato i problemi vissuti dall'Italia avevano notevolmente sensibilizzato la popolazione al problema politico e nel presente era necessario capire come ricostruire l'Italia distrutta, sia dal punto di vista economico che sociale. Il dibattito politico nell'Italia del dopoguerra era una presenza costante e forte e per questo si caricava spesso degli stessi stereotipi che vengono espressi nel libro di Guareschi e che a noi oggi appaiono quasi eccessivi.

Il clima politico: i moderati

Il libro è dominato dall'opposizione tra convinti sostenitori della destra e della sinistra. Ma Guareschi dedica anche spazio, in Filosofia Campestre, a riflessioni sui moderati. Questa corrente politica è rappresentata dal professore che viene sorpreso da Peppone a lavorare durante lo sciopero. Il giudizio di Guareschi emerge dal comportamento del professore, che appartiene al ceto medio e quindi ai moderati.

I proletari della campagna e gli uomini istruiti del ceto medio hanno gli stessi bisogni, la stessa fame, ma la loro reazione è diversa. Ciò che fa la differenza è l'istruzione e la posizione politica. Gli uomini di campagna non sono istruiti e quindi non sanno dominare la loro fame e le loro necessità, sono più istintivi. Per questo la loro posizione politica è radicale, e costituiscono, alleandosi, una forza in grado di opporsi all'ingiustizia. L'uomo del ceto medio, invece, è stato corrotto dal progresso e dall'istruzione, e quindi ha imparato a dominare i suoi istinti con la ragione e sa adattarsi a qualunque situazione. Perciò il ceto medio non costituisce una forza in grado di opporsi all'ingiustizia, tanto che Peppone stesso si accorge che la loro fame è diversa ed è impossibile che il proletariato e il ceto medio si uniscano nella lotta contro le ingiustizie.

Il clima politico: la posizione di Guareschi

Guareschi, che pubblica il suo libro a distanza di pochi anni dall'epoca in cui le sue storie avvengono, decide di non esprimere aperti giudizi politici. Sia Peppone che Don Camillo esprimono liberamente il loro parere, di sinistra e di destra, senza che l'autore penalizzi nessuno dei due. Anzi, forse in questo risiede l'interesse che il libro può suscitare: il lettore, in base alle proprie idee, può decidere se schierarsi con Peppone o con Don Camillo, perchè alla fine nessuna delle due visioni del mondo viene messa in secondo piano. Da questa scelta dell'autore si può dedurre la sua probabile posizione politica: quella di uomo moderato, che non si sbilancia troppo né a destra, né a sinistra, e sceglie una via di mezzo, che alla fine si rivela quella giusta, proprio come il finale che hanno sempre le storie dei due protagonisti.

Anzi, l'autore fugge chiaramente da ogni estremismo, e vuole, attraverso le sue storie, dimostrare che bisogna stare attenti a non esagerare nella discussione politica, che potrebbe degenerare in lotta violenta. Questo è il rischio che corrono Peppone e Don Camillo, e che viene più volte messo in luce nel corso delle vicende. Così, quando Don Camillo esagera e si mette a "sventolare una panca" contro i suoi avversari comunisti in Delitto e Castigo, viene mandato in punizione in un paesino di montagna, per imparare che gli eccessi sono dannosi. Allo stesso modo, ne Il Pittore Peppone rischia di far marcire le messi in tempo di raccolto per motivi di orgoglio ed è Don Camillo a riportarlo alla realtà.

Il clima politico: la storia finale

Per meglio comprendere la posizione di Guareschi nei confronti della politica, è significativa la storia che conclude il libro. La vicenda è suddivisa negli ultimi tre capitoli del libro (Paura, La paura Continua, Giallo e rosa) e il clima nel quale essa si svolge è cupo e carico di tensione. La storia presenta elementi nuovo rispetto alle caratteristiche tipiche delle altre vicende del libro.

Guareschi ha raccontato finora gli scontri che avvenivano nel paese tra gli uomini di sinistra, guidati da Peppone, e gli uomini di destra, guidati da Don Camillo. Spesso erano contrasti forti, dove la violenza aveva spazio, come per esempio quando la discussione finiva in rissa o si ricorreva a ricatti. Ma lo scontro aveva sempre un carattere genuino e sano: le due parti si scontravano con forza, ma il loro scopo era quello di rivendicare la correttezza delle proprie idee, non di imporla a tutti i costi. C'era sempre rispetto, come dimostra chiaramente Peppone ne Il comizio, quando rimprovera la folla comunista per aver riso del relatore liberale. Lo scontro cioè si manteneva sempre nei limiti accettabili dalla coscienza umana.

Nella vicenda finale questo equilibrio si rompe: un uomo viene ucciso da un comunista perchè è di pensiero opposto a quello di Peppone. L'equilibrio che prima regolava la lotta tra le opposte fazioni si rompe: qualcuno ha violato il rispetto per l'opposizione, ha trasformato lo scontro pacifico per far valere le proprie idee in una pretesa di imposizione totale. E in una situazione eccezionale come questa, causata da un avvenimento grave come un omicidio, avvengono fatti eccezionali: per la prima volta ( a parte quando, nella storia Incendio doloso, Don Camillo e Peppone vengono fermati nella loro corsa al suicidio dalla voce del Cristo), il Cristo interviene in modo palese e diretto nella vicenda, spostando la testa di Don Camillo dalla traiettoria della pallottola.

E compare un nuovo sentimento, la paura, alla quale nemmeno Peppone e Don Camillo riescono a sottrarsi. Il lettore ha visto i due protagonisti senza paura e pieni di coraggio per tutto il libro, sempre sicuri delle proprie forze, ma ora anche loro sono davanti a un sentimento che non possono allontanare, perchè hanno paura di ciò che non conoscono. "Se sapessi di che cosa ho paura non avrei più paura. [...] Quando su un pericolo si può ragionare non si prova paura. La paura è per i pericoli che si sentono ma non si conoscono", dice Don Camillo al Cristo.

Questa storia, che è posta a conclusione del libro, vuole essere un avvertimento e un consiglio. Il lettore ha letto durante tutto il libro storie di scontri e di lotte politiche, e ora viene avvertito sul loro rischio: bisogna stare attenti nella lotta politica, perchè può degenerare nella violenza oltre i limiti della coscienza umana. Dopo aver tanto raccontato di lotte, Guareschi vuole riportare alla realtà il lettore, vuole calmare l'eventuale furore che può essere nato in lui leggendo degli scontri politici, vuole avvisarlo che se la lotta politica non viene controllata, può sfuggire dai limiti dell'umanità e trasformarsi in violenza distruttiva.

Significativa è la riunione che Peppone fa con i suoi compagni dopo che l'assassino ha tentato di uccidere Don Camillo in chiesa. Durante la riunione, si mette in luce un giovane comunista radicale, Spocchia. Nella narrazione, Guareschi presenta questo personaggio in modo originale, diverso da tutti gli altri personaggi minori del libro. In tutti i racconti, i due personaggi dominanti sono sempre stati Don Camillo e Peppone, e le altre figure che comparivano avevano pochissimo spazio. Invece Spocchia ha largo spazio nella riunione, e Guareschi ne compie un analisi più dettagliata, lasciando intuire con una descrizione fisica anche il carattere arrogante, aggressivo e ambiguo del giovane: "Spocchia era un giovane sui venticinque anni, magro, con gran capelli all'indietro, [...] come usavano i cafoni del nord e i bulli di Trastevere. Aveva gli occhi piccoli e le labbra sottili". L'attenzione che Guareschi usa per questo personaggio fa intuire al lettore che il suo ruolo è importante. E infatti Spocchia rappresenta la degenerazione della lotta politica in estremismo e fanatismo, che portano alla violenza: "Nessuna pietà contro i nemici del popolo![...] se invece di opporti ci avessi lasciato fare quando si poteva fare, adesso non avremmo ancora tra i piedi un sacco di mascalzoni reazionari!". Peppone, che invece rispetta l'equilibrio della lotta politica, avverte che c'è qualcosa di sbagliato nel giovane, tanto che "gli avrebbe volentieri stritolato la zucca. Chi sa poi perchè". Non viene detto nel libro chi sia l'assassino, ma le posizioni estremiste di Spocchia e l'attenzione che l'autore gli dedica fanno intuire che probabilmente sia lui il colpevole.

Ma anche Peppone stesso si accorge che qualcosa non funziona più in lui. Mentre parla, si accorge che ciò che sta dicendo gli è estraneo, sente che il suo discorso si sta trasformando. Anche lui si sta facendo prendere la mano, si sta lasciando trascinare dalla foga della lotta di partito ("Ora Peppone si sentì che egli stava urlando come impazzito"), e sta cadendo nella visione del mondo estremista, caratterizzata dagli stereotipi: "...la cricca sabauda... Il clero falso... Il governo nero... L'America... La plutocrazia...". Il suo discorso si sta caricando di quei toni faziosi che sono incarnati dal giovane Spocchia, che infatti al termine della riunione si complimenta con lui per il suo discorso. Gli occhi di tutti i compagni, soprattutto quelli di Spocchia, sono definiti "ambigui", perchè per Peppone tutti potrebbero essere l'estremista che ha ucciso Pizzi. Peppone cerca gli occhi del Brusco, il suo fedelissimo, l'unico uomo che conserva ancora un ideale sincero di comunismo e di lotta politica equilibrata. Ma il Brusco ha gli occhi abbassati, perchè non si riconosce nel clima di violenza che si sta creando.

La soluzione al clima di tensione viene offerta nell'ultima parte del capitolo, mentre Peppone parla con Don Camillo: il calore del "Bambinello rosa" e il pensiero della poesia che gli reciterà suo figlio a Natale riportano l'uomo alla serenità. La fede in Dio, rappresentata dal Bambinello, e la vita semplice e innocente, rappresentata dalla poesia del figlio, sono la soluzione alla violenza nella quale l'uomo sta cadendo per la pretesa di fare tutto.

b) Il progresso e la natura

Un tema fondamentale del libro è il progresso, visto come elemento negativo. L'uomo si affanna nel raggiungere nuove scoperte scientifiche, per trovare nuove organizzazioni sociali, per cercare di capire il senso della vita. Vuole insomma ridurre il mondo a una "manciata di numeri" (il Cristo - Filosofia Campestre), perdendo di vista il vero senso della realtà e i grandi valori della sua esistenza, che sono la fede in Dio e la semplicità della vita. L'uomo pretende con il proprio sapere di comprendere il mondo senza l'aiuto di Dio, di sostituirsi a Lui: gli uomini "cercano affannosamente la giustizia in terra perchè non hanno più fede nella giustizia divina" (Introduzione). Ma l'esito di questa ricerca della conoscenza sarà negativo: il sapere dell'uomo diventerà così progredito che l'uomo stesso si accorgerà dell'errore che ha compiuto, e scoprirà di aver perso di vista l'armonia e il vero senso della vita, per sottomettere tutta la realtà a dei freddi numeri. Allora lui stesso distruggerà il progresso, perchè frutto di sofferenza nella vita. : "E' la troppa cultura che porta all'ignoranza, perchè se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede soltanto la matematica delle cose", dice il Cristo in Filosofia Campestre.

Infine, sempre legato alla semplicità, vi è l'amore per la natura. L'uomo che segue una vita semplice vede la natura e la sua armonia e vive in simbiosi con essa, quasi fossero una cosa sola. E' la natura che rende la vita dell'uomo felice e sana, quasi come una entità personificata, perchè "[...] è l'ampio, eterno respiro del fiume che pulisce l'aria". Allo stesso modo, anche la natura si carica di significati umani ed entra in simbiosi con l'uomo: significativa nell'introduzione è l'immagine della Morte che passa in bicicletta senza spaventare chi incontra.

c) Il campanilismo

Un altro tema di fondo che emerge nel libro è il forte senso di campanilismo dell'autore. Guareschi è affezionato alla sua terra e ne valorizza molto le tradizioni, opponendole alle altre. Così, per esempio, nell'introduzione afferma che il Po, che scorre nella sua terra, è "l'unico fiume rispettabile che esista in Italia", mentre "Le cascate del Niagara sono fenomeni da baraccone", perchè estranee al mondo dell'autore. Anche se il Po sorge sul Monviso, per Guareschi "Il Po comincia a Piacenza", perchè lì inizia il suo Mondo Piccolo, al quale è tanto attaccato.

Altro elemento del campanilismo dell'autore è l'opposizione tra gli uomini di città e quelli di campagna. La Seconda Storia dell'introduzione è tutta incentrata sullo scontro tra uomini di campagna, che incarnano i valori positivi della semplicità e della fede in Dio, e gli uomini di città, che incarnano i valori negativi del progresso e della fede nella ragione.







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